giovedì 22 agosto 2013

Cafe Flesh


“Cafe Flesh” è il tentativo, se riuscito o meno spetta al lettore stabilirlo, di coniugare sesso, satira e teatro d'avanguardia. L'anno seguente il successo ottenuto con l'innovativo “Nightdreams” (firmato con lo pseudonimo di Francis Delia) il regista Stephen Sayadian (questa volta invece con lo pseudonimo di Rinse Dream) realizza una incursione ancora più audace in un erotismo dalle forti tinte surrealiste. La sceneggiatura, scritta a quattro mani insieme a Jerry Stahl (un apprezzato giornalista e scrittore che in seguito ha descritto la sua caduta nell'abisso della droga nel romanzo autobiografico “Permanent Midnight” da cui è stato tratto l'omonimo film interpretato da Ben Stiller), ha la pretesa di costruire intorno a delle scene di sesso abbastanza inusuali nel panorama del cinema pornografico, una narrazione che invita lo spettatore a riflettere su dei concetti cardine della nostra attuale società: la frustrazione sessuale, il senso di inadeguatezza, il tradimento.


Si è a lungo parlato, col senno di poi, di questo film come di una riflessione sulla pandemia dell'Aids. Considerato che l'annuncio della scoperta dell'origine virale avvenne ad opera dello scienziato Robert Gallo in quello stesso anno, è lecito avanzare una tale ipotesi, per quanto lo stesso Jerry Stahl ha sempre affermato di aver scritto la sceneggiatura pensando unicamente, e con malcelato disgusto, alla condizione di impotenza del pubblico. Non solo di quello che assiste agli spettacoli al “Cafe Flesh” ma anche di quello che, tenendo il telecomando del videoregistratore nella mano sinistra, ne fruisce nel soggiorno della propria casa. In questo senso si potrebbe azzardare che “Cafe Flesh” è un metaporno.
Comunque sia la lettura che se ne dà, “Cafe Flesh” è assurto nel tempo a vero e proprio cult movie e non tanto per le scene di sesso in sé, peraltro numericamente limitate e per lo più girate in campo lungo e senza primi piani, quanto per essere riuscito a dare delle stesse una forma che sconfina nel teatro d'avanguardia. “Cafe Flesh” si colloca temporalmente in una fase di passaggio dalla “Golden Age of Porn” a quella segnata dall'avvento del VHS e dalla conseguente fruizione solipsistica del cinema hard. È, di conseguenza, il tentativo di rinnovare un genere, l'ennesima dimostrazione di ciò che il porno avrebbe potuto essere.


A seguito di una catastrofe nucleare che ha reso il 99% della popolazione “sex negative”, non in grado cioè di avere rapporti sessuali, il rimanente 1%, i “sex positive”, sono costretti ad esibirsi, per soddisfare la libido dei primi, in tetri locali quali appunto il “Cafe Flesh”, gestito dall'odioso Max il melodrammatico (una stupefacente interpretazione di Andrew Nichols modellata sul personaggio di Joel Grey in “Cabaret”) che si diverte a schernire impietosamente il pubblico.


In mezzo a questo ci sono Nick (Paul McGibboney) e Lana (Michelle Bauer, la futura “scream queen” di numerosissime pellicole horror-erotiche quali “Nightmare Sisters” o “Hollywood Chainsaw Hookers” che qui appare però con lo pseudonimo di Pia Snow) che tentano di aggrapparsi disperatamente al loro rapporto, una volta d'amore ma oramai segnato dall'impossibilità di poter godere del contatto fisico. All'insaputa di Nick, però, Lana è una “sex positive” che finge di essere malata per non perdere l'amore del suo compagno e non essere costretta ad esibirsi.


Nel frattempo, sul palco si alternano performance surreali e inquietanti: una casalinga stile anni cinquanta viene sedotta da un lattaio che indossa un costume da ratto (l'attore mulatto Ken Starbuck interprete del film di Vinnie Rossi “Foreplay”) mentre una fila di uomini adulti travestiti da neonati martellano con degli ossi giganti i seggioloni su cui sono seduti; una segretaria (Becky Savage) che viene posseduta sulla scrivania dal suo principale travestito da enorme matita (mentre risuona ossessivamente la domanda “Vuole che prenda nota?”); due lesbiche. L'arrivo della provinciale Angel (la graziosissima Marie Sharp, anche lei vista in “Foreplay”) e la sua entusiastica reazione alla richiesta di esibirsi in quella sorta di cabaret pornografico mettono in dubbio la decisione di Lana. Max, spiandola mentre nel retro della cucina del teatro si abbandona a una disperata masturbazione, si rende conto che la ragazza non è ciò che vorrebbe far apparire.
La performance di un ospite molto atteso, il leggendario stallone Johnny Rico (Kevin James), manda in subbuglio Lana che decide di unirsi a lui e ad Angel. A quel punto Nick prova a raggiungere la sua compagna sul palco ma è costretto ad accucciarsi impotente, mentre il pubblico ride di lui.


Da segnalare, infine, la direzione della fotografia scarna e inquietante affidata a Joseph Robertson e la colonna sonora composta e prodotta da Mitchell Froom ed è apparsa nell'album “Key of Cool” inciso nel 1984. “Cafe Flesh” è stato premiato nel 1984 per la migliore regia.

SCHEDA TECNICA

Cafe Flesh
(USA, 1982, 80 min.)
Regia di Stephen Sayadian (con il nome di Rinse Dream)
Sceneggiatura di Stephen Sayadian (con il nome di Rinse Dream) e Jerry Stahl (con il nome di Herbert W. Day)
Cast: Andy Nichols (Max il melodrammatico) (con il nome di Andrew Nichols), Paul McGibboney (Nick), Michelle Bauer (Lana) (con il nome di Pia Snow), Marie Sharp (Angel), Kevin James (Johnny Rico) (con il nome di Kevin Jay), Ken Starbuck (il lattaio travestito da ratto) (con il nome di Starbuck)
Prodotto da Francis Delia (con il nome di F.X. Pope)
Direttore della fotografia Francis Delia (con il nome di F.X. Pope)

2 commenti:

  1. Non mi capacito di come questo film mi sia sfuggito. Lo guarderò :)
    grazie per il consiglio

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  2. Buona scelta madame, credo proprio che questa pellicola non la deluderà. Sci-Fi e Rated X è un connubio poco osato.

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